ABBAZIA DI SANTO STEFANO
Basilica Santuario Santo Stefano
+ Sancta Ierusalem Bononiensis +
Congregazione Benedettina del Brasile
Vocazione benedettina
Dom Edmund Ford OSB
Abbate di Downside
« Ci si sente di casa fra le stupende rovine delle nostre antiche chiese benedettine. e si prova quel senso di pace che, anche nelle loro rovine, queste dimore della vita monastica comunicano all'anima. Allo stesso tempo, se ci si rivolge alla storia e si leg- gono gli annali delle opere meravigliose che i benedettini hanno compiuto, meravigliose nella loro grandezza, nella loro diversità e nella loro vitalità, si riconoscerà che la quiete della vita benedettina non è la tranquillità dell'ozio, ma la pace del lavoro incessante, eseguito non per sé ma per una vita più elevata e per obbedire alla legge del lavoro imposta a tutti gli uomini.
Una chiesa magnifica, lo splendore del santuario, il canto semplice e radioso grazie al quale tutti possono cantare la loro preghiera a Dio, un lavoro continuo, una vita in pace: queste sono le cose che ci colpiscono nel monastero benedettino; e noi ci chie- diamo quali siano le forze nascoste che producono proprio questi effetti là dove i benedettini si stabiliscono e sono liberi di seguire la loro tradizione. In ogni epoca e in ogni paese, da S.Benedetto e dalle altezze di Montecassino fino a Nuova Norcia in Australia, riscontriamo gli stessi tratti. Qual'è questa vita, questa regola, che si adatta a tutti i tempi e a tutti i popoli, e che in tutte le varietà di terra produce lo stesso frutto? La risposta è semplice. Troviamo nella Regola di S. Benedetto non tanto dettagli numerosi quanto alcuni principi essenziali che, agendo sulla natura umana, hanno prodotto questa meravigliosa storia del suo Ordine: principi che non possono invec- chiare né divenire antiquati, poiché non sono specifici di nessuna situazione di educa- zione, razza, rango o epoca, né destinati a fare fronte a difficoltà o prove transitorie nella vita della Chiesa; ma che sono universali come la razza umana.
Possiamo riassumerli così:
I - I benedettini vivono in comunità. Quando li troviamo in altre situazioni, è solo per un certo tempo, o per dispensa, o a motivo di speciali ordini della Santa Sede, come nel caso dei benedettini inglesi che la Santa Sede ha incaricato di opere di missione. Ma la vita normale dei benedettini è la vita di molti monaci riuniti insieme con lo scopo non di fare una attività particolare, ma di mettere in pratica - per quanto è loro possibile - tutto l'insegnamento di Cristo sul perfezionamento della vita umana.
II - È caratteristica dei benedettini il non avere un'attività particolare con esclusione di altre. Una casa benedettina si fa carico di ogni attività che risulti idonea alla sua particolare situazione o che gli possa esser imposta dalle sue necessità. Così troviamo benedettini che insegnano nelle scuole dei poveri o nelle università, che coltivano le arti o si dedicano all'agricoltura, che sono in cura d'anime o si consacrano totalmente allo studio. Nessuna attività è loro estranea, pur che sia compatibile con la vita in comunità e con la celebrazione dell'Officio Divino. Questa libertà nella scelta del lavoro era necessaria in una regola che doveva essere adatta a tutti i tempi e a tutti i luoghi; ma essa fu nel principio il risultato naturale del fine che S.Benedetto si proponeva, cosa che lo distingue nettamente dai fondatori degli Ordini più recenti. Questi avevano come obiettivo qualche attività particolare alla quale desideravano che i loro discepoli si dedicassero; il progetto di S. Benedetto invece era soltanto quello di fornire una regola mediante la quale ciascuno potesse seguire i consigli dell'Evangelo, vivere, lavorare, pregare e salvarsi l'anima.
III - Si deve poi notare che la preghiera dei benedettini è l'Officio pubblico della Chiesa. I membri di una comunità possono avere le loro devozioni private; ma la loro preghiera in quanto monaci è il canto dell'Officio. In questo Officio essi trovano la loro preghiera vocale, la loro meditazione, il loro « esame », le loro « pratiche », le loro preghiere del mattino e della sera. Il lavoro dei monaci li porta in tutte le parti del monastero; ma al mattino di buon'ora e alla sera e più volte man mano il giorno avanza, tutti vengono in chiesa per l'Officio divino e ritornano al loro lavoro o al riposo.
IV - Infine, un altro segreto del carattere e dell'influsso della vita benedettina sembra essere che i monaci di un monastero sono uniti da legami particolarmente stretti. Si può davvero dire che essi formano una famiglia. Gli anziani e i giovani vivono la loro vita completamente sotto lo stesso tetto, sotto la medesima disciplina, attorno allo stesso altare, finché coloro che sono anziani scompaiono e i giovani diventano vecchi, e allora un'altra generazione è pronta a ricevere dalle loro mani indebolite l'opera del monastero; così, una generazione succede a un'altra, la vita continua e il lavoro non cessa mai ».
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Il mio predecessore come Abbate di Downside, Dom Edmund Ford, ha scritto questa esposizione sulla "Vocazione benedettina" nel 1896.
Il tratto più notevole di questo testo, secondo il nostro punto di vista attuale, è il fatto che esso è ugualmente vero di ogni fase della vita benedettina, della vita a Montecassino al tempo di S. Benedetto, della vita benedettina nel Medio Evo e nel Rinascimento, e di quella del nostro tempo: e questo non per mancanza di precisione, poiché le grandi linee sono segnate in modo netto e rigoroso.
Che sia stato possibile sviluppare in questo modo una formula, usualmente appropriata a ciascuna delle fasi della vita benedettina dagli inizi sino alla fine, è la miglior conferma possibile della tesi di questo capitolo, ossia che l'idea benedettina attraverso i secoli è rimasta fedele - nel suo insieme e nelle grandi correnti - all'idea di S. Benedetto e porta il segno del vero sviluppo quale l'ha formulato il cardinal Newman (*).
Abbate Dom Cuthbert Butler
(*) Sarà utile aver presente alla mente l'enunciato che il cardinal Newman fa dei criteri con cui si possono distinguere dalle deformazioni gli sviluppi propriamente detti:
« Io mi azzardo ad esporre qui i sette segni di forza, di indipendenza e di possibilità di applica- zioni differenti per distinguere gli sviluppi normali di un'idea, dal suo stato di corruzione e di decadenza. Non c'è corruzione se l'idea conserva un unico e medesimo tipo, gli stessi principi, la stessa organizzazione; se i suoi inizi prevedono le sue fasi successive e se i suoi più recenti fenomeni proteggono e comprovano quelli precedenti; se essa ha un potere di assimilazione e di rinascita e una azione vigorosa dall'inizio sino alla fine » (Developement of Christian Doctrine, « Genuine Developments »).